Senza alcuna pretesa veniamo a proporvi un piccolo scorcio del tempo e del contesto in cui abbiamo ambientato questo nostro fumetto. In modo da dare, a chi ne avesse la curiosità, la possibilità di collocare in un quadro più ampio le gesta dei personaggi. Naturalmente, a doverosa premessa, dobbiamo dire che non sarà possibile condensare in poche pagine un periodo storico tanto ricco e complesso; tenteremo però di darvi almeno un’immagine, per quanto modesta e limitata, di un’epoca che non manca certo di grande fascino.
Le vicende di Caim, si collocano nel periodo che va dalla fine del XIII° sec. all’inizio del XIV°, in un imprecisato luogo dell’Umbria. E’ l’epoca che vede la rinascita della vita laica, la riscoperta delle città, la spinta energica delle varie popolazioni verso l’affrancamento dal potere della Chiesa e dell’Impero; unici dominatori, sino ad allora, della scena politica e sociale.
Fu questa l’epoca della rivalità tra le grandi famiglie feudali, che si contendevano i territori cittadini provocando frequentemente guerre intestine che si risolvevano con l’esilio (spesso seguito da un ritorno armato) della fazione avversaria, quando non lo sterminio della stessa. Nacquero le Arti Corporative dei Mestieri, associazioni di mercanti, divenuti più ricchi e influenti nella vita cittadina
a discapito della vecchia nobiltà; le Università che, con lo spostamento dei centri culturali dai monasteri ai più laici atenei cittadini, presero l’aspetto di associazioni corporative in concorrenza con le scuole capitolari esistenti presso le cattedrali. Tutto questo condusse inevitabilmente ad una crescita non solo economica, ma anche sociale, che ravvivò la vita dei centri urbani e portò alla sostituzione dell’antica istituzione feudale, generando una nuova forma di governo: il Comune.
Il
Comune basava il suo assetto organizzativo originariamente su un Consiglio di
Anziani, composto dai cittadini più in vista, il quale esercitava funzioni
politiche e amministrative, prendendo nome di Governo Consolare.
La natura duale e ambigua di questo nuovo ordine di cose, caratterizzata dalle continue contrapposizioni tra popolo e sempre presente nobiltà, popolo minuto (i salariati, operai, disoccupati) contro popolo grasso (i mercanti più ricchi, membri delle Arti corporative) generò però quella che può essere definita la crisi delle istituzioni comunali. Ad essa si aggiunsero il dissidio tra guelfi e ghibellini, le lotte tra fazioni della medesima città, le mire dei Comuni maggiori sui minori. In questo acceso panorama si rendeva necessaria una maggiore stabilità, ragion per cui il governo mutò da Consolare a Podestarile: il Podestà (a cui si affiancherà poi il Capitano del Popolo, con facoltà e possibilità del tutto simili) proveniva da altre città e rappresentava idealmente l’elemento neutro al di sopra delle parti. Aveva una carica limitata, ma, da solo, disponeva di tutti quei poteri che prima erano stati di competenza del Consiglio cittadino. Il Comune si avvia così verso la Signoria.
Nella Signoria l’autorità politica assurge di nuovo al Dominus, il signore per l’appunto, che può disporre della cosa pubblica in maniera assoluta e illimitata. La frequente provenienza feudale, lo renderà spesso legittimo portatore di potere, e risolverà sovente anche il problema delle residue zone feudali del contado, a cui la giurisdizione del Comune in molti casi non si era estesa (e questo
potrebbe essere il caso del nostro Galeano di Tifernum).
Generalmente i signori si impadronivano del potere assumendo la carica di Capitano del Popolo, disponendo così di mezzi politici e, soprattutto, militari per poter esercitare il Dominium sulla città e relativi territori annessi.
Piccolo inciso per quanto riguarda la presenza della Chiesa nell’Italia centrale del periodo. Nonostante l’esistenza di forti realtà comunali, l’Italia centrale e l’Umbria in particolare, restarono comunque costantemente sotto l’influenza papale. Le famiglie dei Trinci di Foligno o i Gabrielli di Gubbio, la stessa città di Perugia, già Comune nel 1130, tentarono di rafforzare la propria autorità, ma a seguito della spedizione del cardinale Albornoz, la Chiesa continuò a dominare incontestata. Per questo la presenza di un legato papale, come nel nostro caso il vescovo Federico d’Asti, non era certamente inconsueta e sicuramente poco gradita ai signori locali.
Chi era Cain il Nero?
Al di fuori delle connotazioni esoteriche che abbiamo dato al personaggio, Cain, nella sua vita umana, assume una forma ben precisa: il Capitano di Ventura. In un mondo in cui “l’arte della guerra si faceva arte del potere” sempre più spesso a questi uomini d’arme veniva chiesto di combattere, in aggiunta alla milizia cittadina: per un Comune che li convocava per difendere la propria libertà o per un Signore che voleva espandere il proprio dominio. Questi personaggi sono stati elementi peculiari di tre secoli di storia italiana, a partire dalla fine del 1200 sino ad arrivare al 1500, caratterizzando un intenso periodo di lotte.
Le prime masnade mercenarie che comparvero in Italia furono truppe straniere costituite da soldati di mestiere al seguito di re o imperatori. Il ritratto di questi mercenari, descritti da osservatori dell’epoca (tra cui anche lo stesso Machiavelli) ci dà il quadro di una massa di gente unita occasionalmente e portata alla violenza e al saccheggio, abbruttita da un mestiere che metteva in
gioco la vita. Spesso venivano assoldati da Comuni o da qualche signore, ma il rischio del voltafaccia a favore del miglior offerente, non era certo realtà lontana. Vivendo alla giornata, essi passavano dagli ingaggi al brigantaggio, senza vincoli o leggi di sorta.
Le cose cambiarono quando in Italia scesero truppe
mercenarie organizzate, che radunarono anche tutte quelle masse di venturieri
stranieri che ormai da molti anni avevano preso l’Italia come terra di
saccheggio. Comparvero le prime “Compagnie”. Oltre ad avere
una
maggiore unità e un chiaro programma, queste compagnie si caratterizzarono della
presenza di un capo carismatico, il Condottiero. I primi condottieri che fecero
tremare la penisola erano stranieri, ma nelle cronache nostrane ci giungono con
nomi o soprannomi tutti italiani, ovvie e inevitabili volgarizzazioni dei nomi
originali: ad esempio l’Urslingen venne chiamato Guarnieri, o Konrad Wolf
Corrado Lupo, John Hawkwood Giovanni Acuto, e così via. Tra questi, naturalmente
abbiamo inserito il nostro Cain, che a furor di popolo sarebbe stato
identificato più teatralmente “il Diavolo Nero”, piuttosto che, con ovvie
difficoltà di pronuncia, Lovelock. Molti di questi grandi condottieri erano
temuti e al tempo stesso contesi dai vari signori locali. Abili nella guerra,
strateghi eccezionali, capaci di eccidi e stermini, spesso anche arbitri tra
vari Stati. Per tutte le città risuonavano le loro gesta e la loro ferocia, e,
per dirla con Claudio Rendina, “la cronaca si sposava alla leggenda, l’aneddoto
alla ballata popolare”.
Successivamente, al seguito delle compagnie di ventura
straniere sorsero compagnie con truppe in gran parte italiane e comandate da
italiani. Ricordiamo qui quella capitanata da Lodrisio Visconti, da Astorre
Manfredi, Niccolò da Montefeltro, e così via. Questi primi capitani di ventura
italiani spesso nascevano tra le stesse dinastie signorili, nei rami cadetti,
quando non nella persona stessa di duchi
e marchesi.
Per una comprensione migliore dell’argomento consigliamo caldamente la visione del film di Olmi: “Il mestiere delle Armi”, che narra, con grande precisione storica, gli ultimi giorni di vita di Giovanni dalle Bande Nere, famoso condottiero del 1500.
Note:
L. Gatto, “Il Medioevo. Società, politica, economia e religione di un millennio di storia”, Newton & Compton editori, 1999.
L. Gatto, “L’Italia nel medioevo. Gli italiani e le loro città”, Newton & Compton editori, 1995.
G. Galasso, “Potere e istituzioni in Italia. Dalla caduta dell’impero romano a oggi”, Einaudi, Torino 1974.
C. Rendina, “I capitani di ventura”, Newton & Compton editori, 1999.
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