ATLANTIDE, UNO SGUARDO A PLATONE
Il mito di Atlantide ha da sempre affascinato l’uomo. Molti sono ancor oggi gli studi che vengono realizzati in cerca di un indizio che ci porti a svelare questo enigma millenario. E’ indubbio comunque che, ancora più che la scienza, l’archeologia e l’antropologia, Atlantide abbia solleticato l’immaginario creativo di molti scrittori, del cinema, dei fumetti e dell’animazione; trovando terreno fertile sulla descrizione di un regno di potenza e ricchezza senza eguali, il cui popolo discende direttamente dagli Dei, e le città rifulgono d’oro, d’argento, di oricalco, di avorio e marmo.Uno scenario ottimale per predisporre trame di sicuro effetto e dagli innumerevoli risvolti.
Una delle fonti più interessanti della descrizione di questa mitica civiltà non può che essere Platone, che nei suoi dialoghi “Timeo” e “Crizia” la descrive con grande efficacia.
Ne riportiamo alcuni interessanti passaggi, in modo da permettere ai curiosi di meglio comprendere le basi su cui noi stesse abbiamo edificato il fumetto “Atlantis”.
Nel “Timeo”, Socrate, circondato da alcuni suoi allievi, si fa ripetere da Timeo una storia antica, narrata al giovane dal nonno novantenne, che aveva per protagonista Solone, un greco che si era recato in Egitto, avo dello stesso Timeo, e aveva avuto occasione di parlare con i sacerdoti di Neith, una divinità egizia che veniva identificata con Atena.
In una discussione, uno dei sacerdoti narra a Solone le gesta di genti di stirpe ellenica, antichi concittadini dello stupito greco, che avevano fondato uno stato ateniese ben novemila anni prima, laddove sorgeva Atene. Così li descrive: << Innanzi tutto la classe dei sacerdoti essere distinta separatamente dalle altre, e dopo di questa quella degli artefici, e così dei pastori e dei cacciatori e degli agricoltori. E del pari hai sentito dire, m’immagino, che la classe dei guerrieri qui è separata da tutte le altre classi, e che ad essi è imposto per leggo di non occuparsi di alcun’altra cosa all’infuori di ciò che ha attinenza alla guerra. […] Di tutto questo ordinamento adunque allora e di questo ornamento la Dea fornì voi per primi quando fondò (la città vostra) avendo avanti eletto il luogo ove siete stati generati e riconoscendo che la temperanza delle stagioni, di cui gode, avrebbero prodotto uomini intelligentissimi. Come quella pertanto che era amica insieme e della guerra e del sapere, quel luogo che poteva produrre gli uomini più simili a sé, quello scelse e per primo occupò. E voi lo abitavate reggendovi con leggi cotali e anche migliori, e superando in ogni virtù tutti gli uomini, come se capisce, essendo figli e alunni degli Dei. >>
E proprio in questo punto, il sacerdote di Neith, introduce la descrizione di Atlantide: << Dice lo scritto di una immensa potenza cui la vostra città pose termine, la quale violentemente aveva invaco insieme l’Europa tutta e l’Asia, venendo fuori dal mare Atlantico. Infatti allora per quel mare là si poteva passare; chè innanzi a quella foce stretta che si chiama, come dite voi, colonne d’Ercole, c’era un isola. E quest’isola era più grande della Libia e dell’Asia insieme, e da essa chi procedeva trovava allora un valico alle altre isole, e dalle isole a tutto il continente dall’altra parte intorno a quel mare là. […] Ora in quest’isola Atlantide era sorto un grande e mirabile impero, il quale la dominava tutta quanta con molte altre isole e alcune parti pure del continente. E oltre di ciò anche delle regioni da questa parte del mare interno signoreggiavano, sulla Libia fin verso l’Egitto e sull’Europa fino all’Etruria. Or tutta questa forza raccolta in uno tentò una volta con un impeto solo di soggiogare e i luoghi vostri ed i nostri e quanti altri sono di qua dello stretto. E fu allora , o Solone, che la potenza della città vostra rifulse presso tutti gli uomini e per valore e per vigoria, giacché avendo la preminenza su tutti per forza d’animo e per ogni arte di guerra, parte guidando gli Greci, parte da sola per necessità, quando gli altri la abbandonarono, dopo essere giunta agli estremi pericoli, riuscì a trionfare degli invasori e ad innalzarne i trofei; e coloro che non erano stati soggiogati, e gli altri, quanti abitiamo di qua dai confini di Ercole, tutti generosamente liberò. In tempi posteriori per altro, essendo succeduti terremoti e cataclismi straordinari, nel volgere di un giorno e di una notte, quanto v’era presso di voi atto a combattere, tutto in massa si sprofondò sotto terra , e l’isola Atlantide ingoiata dal mare scomparve. Per questo anche adesso quel mare là è diventato impraticabile ed inesplorabile, essendo d’impedimento il fango dei bassifondi che l’isola sommersa produsse. >>
Alcune specificazioni vanno fatte in merito a questo racconto, in particolare per quanto riguarda le dimensioni dell’isola di Atlantide, che viene descritta come grande quanto la Libia e l’Asia. Con Libia in realtà si indicava l’Africa settentrionale costiera, mentre con Asia si denotava l’Asia minore, attuale Turchia (che dagli altipiani d’Armenia e del Kurdistan si allunga con forma rettangolare verso ovest).
L’altro interessante dialogo platonico di cui trascriveremo alcuni pezzi è il “Crizia”, dove lo stesso Crizia narra della guerra tra Greci e Atlantidei e racconta in questo modo le fazioni in causa:
<< Secondo la tradizione egiziana, or sono novemila anni scoppiò una guerra generale tra i popoli che erano ad occidente delle colonne d’Ercole e quelli che ne erano al di qua. […] Atene, nostra patria, fu alla testa di questa lega, e condusse poi a termine da sola la guerra. La lega avversaria era diretta dai re dell’Atlantide. […] Gli Dei si divisero altra volta le differenti contrade della terra. Questa divisione ebbe luogo senza contestazione, perché sarebbe assurdo credere che essi avessero ignorato ciò che a ciascuno conveniva. Avendo essi dunque ottenuto dalla giustizia della sorte la parte che a ciascuno piaceva, si stabilì ciascuno nella contrada assegnatogli e prese cura degli uomini che gli appartenevano. >>
Crizia procede poi a descrivere con più accuratezza prima la società ellenica e poi la sua avversaria atlantidea:
<< […] Prima, l’Acropoli si estendeva fino all’Eridano e all’Ilisso, comprendeva il Pnyx, ed aveva il Licabete per limite dal lato che fronteggia il Pnyx. Era rivestita di terra da tutte le parti, e, ad eccezione di qualche sito, il pianoro che la coronava era perfettamente unito. Sui suoi fianchi erano stabiliti gli artigiani e i lavoratori dei campi contigui. La classe dei guerrieri risiedeva sola sulla cima, intorno al tempio di Atena e di Efesto, e questo recinto aveva circondato di una sola chiusura come il giardino di una sola famiglia. […] Nel posto dove sorge ora la cittadella, eravi una sorgente, che i movimenti tellurici hanno fatto scomparire, e non ha lasciato che deboli ruscelli attorno, ma allora forniva acqua abbondante e salutare sia d’inverno che d’estate. Così vivevano i guerrieri, difensori dei loro concittadini e capi riconosciuti da tutti i Greci. Quanto al loro numero, essi usavano ogni cura possibile per avere sempre a loro disposizione la stessa quantità di uomini e di donne in condizioni di portare già le armi e di portarle ancora, e cioè ventimila. Tali erano questi uomini che governavano sempre con giustizia la loro città e la Grecia, ed erano oggetto di ammirazione per l’Europa e per l’Asia a causa della beltà dei loro corpi e di tutte le virtù delle quali le loro anime erano adorne.
Ora, miei amici, vi esporrò la situazione dei loro nemici, risalendo al principio della loro storia, se pure non perduto il ricordo di ciò che mi fu raccontato nella mia fanciullezza. […] Noi abbiamo già detto che gli Dei si divisero il mondo, ognuno di essi ebbe per sua parte una contrada, grande o piccola, nella quale stabilì i suoi templi e chiese sacrifici in suo onore. L’Atlantide era dunque toccata a Poseidone. Egli mise in una parte di quest’isola dei piccoli che aveva avuto da una mortale. Ed era una pianura situata vicino al mare e, verso il mezzo dell’isola, la più fertile di tutte le pianure. A cinquanta stadi più lontano, e sempre verso il mezzo dell’isola, vi era una montagna poco elevata. Colà dimorava con sua moglie Leucippe, Euenore, uno degli uomini che la terra aveva altra volta generati. Essi non avevano altri figli che una ragazza chiamata Clito, che era nubile quando morirono tutti e due. Poseidone ne fu preso e si unì con lei. Poi per chiudere e isolare da ogni parte la collina ove essa abitava, scavò attorno un triplice fossato ripieno d’acqua, racchiudendo due bastioni nei suoi solchi ineguali, al centro dell’isola e ad uguale distanza dalla terra: il che rese quel luogo inaccessibile, poiché non si conoscevano allora né i vascelli né l’arte di navigare. Nella sua qualità di Dio egli abbellì a suo agio l’isola che stava formando. Vi fece scorrere due sorgenti, l’una calda l’altra fredda, e cavò dal seno della terra alimenti svariati e abbondanti.
Cinque volte Clito lo rese padre di due gemelli che egli allevò. Poi divise l’isola in dieci parti e diede al maggiore nato della prima coppia di gemelli la dimora di sua madre, con la opulenta e vasta campagna che la circondava, e lo creò re su tutti i suoi fratelli; il maggiore nato, che fu primo re di quest’impero, fu chiamato Atlante, e da lui appunto presero nome l’isola intiera e il mare Atlantico che la circonda. […]
La posterità di Atlante si perpetuò sempre venerata; il più anziano della famiglia lasciava il posto al più anziano dei suoi discendenti, ed essi conservarono per tal modo il potere nella loro casa per un gran numero di secoli. Essi avevano accumulato ricchezze maggiori di quelle che nessuna reale dinastia abbia mai posseduto o possiederà. Insomma, avevano in abbondanza nella città e nel resto del paese tutto ciò che potevano desiderare. Molti prodotti venivano loro dal di fuori, a cagione della estensione del loro impero; ma l’isola produceva essa stessa quasi tutto ciò che è necessario alla vita, e in primo luogo tutti i metalli solidi e fusibili. […] Con tali ricchezze che il suolo prodigava loro, gli abitanti costruirono templi, palazzi, porti, bacini per i vascelli, e finirono anche di abbellire l’isola nell’ordine seguente. Loro prima cura fu di gettare ponti sui fossati che circondavano l’antica metropoli e stabilire per tal modo comunicazioni tra la dimora reale e il resto del paese. Essi avevano già da tempo elevato questo palazzo nello stesso luogo dove avevano abitato il Dio e i loro antenati. I re che lo ricevevano di volta in volta in eredità continuavano incessantemente ad abbellirlo, sforzandosi di superare ognuno il suo predecessore, onde si giunse a tanto che non si poteva, senza rimanere stupiti di ammirazione, contemplare tanta grandezza e tanta bellezza. >> Crizia poi si sofferma, con dovizia di particolari, sulla descrizione della città e del resto dell’isola di Atlantide: la praticità dei porti, a cui avevano agevole accesso innumerevoli navi di svariate dimensioni, la bellezza e funzionalità delle costruzioni in pietra, in particolare del Palazzo reale e del Tempio dedicato a Poseidone e a Clito, ornati di statue, rivestiti d’argento, oro e oricalco, la magnificenza di opere pubbliche come giardini, ginnasi per gli uomini, ippodromi per i cavalli, caserme per la classe dei guerrieri.
<< Tale era la potenza, la formidabile potenza che si era anticamente stabilita in questa contrada, e che la divinità, secondo la tradizione, rivolse contro il nostro paese per il seguente motivo, Durante parecchie generazioni, e fintanto che vi fu in essi qualcosa della natura del Dio dal quale erano stati generati, gli abitanti dell’Atlantide obbedirono alle leggi che avevano ricevuto ed onorarono il principio divino dal quale procedeva la loro parentela. I loro pensieri erano conformi a verità e del tutto generosi: e si mostravano essi pieni di moderazione e di saggezza in tutte le congiunture, come nei rapporti tra di loro. Guardando perciò con disprezzo tutto ciò che non era la virtù, non facevano alcun conto dei beni presenti, e sopportavano affatto naturalmente come un peso l’oro e le ricchezze e vantaggi della fortuna. Lungi dal lasciarsi inebriare dai piaceri e dall’abdicare il governo di se stessi nelle mani della fortuna, divenendo così gioco delle passioni e dell’errore, essi sapevano comprendere che tutti gli altri beni si accrescevano soltanto per il loro accordo con la virtù, e che al contrario, quando li si perseguono con troppo zelo e ardore, quelli si perdono, e la virtù con essi.
Per tutto il lungo tempo che gli abitanti di Atlantide così ragionarono e conservarono pertanto la divina natura della quale avevano partecipato, tutto riuscì loro secondo il loro desiderio, come già si è detto. Ma quando la loro essenza divina si fu sempre viepiù sminuita a causa della continua mescolanza con la natura mortale, quando infine l’umanità superò quella di molto, allora incapaci a sostenere la presente prosperità, essi degenerarono. Coloro che sanno vedere compresero che essi erano divenuti cattivi, ed avevano perduto il più prezioso tra i loro beni, coloro che non sono in grado di vedere ciò che rende la vita veramente felice giudicarono che essi erano giunti al colmo della virtù e della felicità proprio nel momento in cui erano posseduti dalla folle passione di accrescere le loro ricchezze e la loro potenza. >>
E con queste parole concludiamo il nostro piccolo excursus tra le pagine dei dialoghi platonici, che tanto aiuto ci hanno fornito nell’elaborazione del fumetto “Atlantis”, non solo in merito alle notizie storiografiche e storico-artistiche presenti nelle dettagliate descrizioni della società greca e atlantidea, ma che soprattutto ci hanno spinto a fantasticare su quello che di straordinario Atlantide rappresenta, leggenda o meno che sia.
Le Peruggine